Storia della Notazione – Appunti di Editoria Musicale

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Le origini

La frase “i suoni se non sono trattenuti dall’uomo attraverso la memoria muoiono” da l’idea della situazione nel medioevo (VII secolo), dove ancora non era stato sviluppato un sistema di scrittura.
La prima cosa che la notazione cerca di fare è scrivere l’altezza delle note, il secondo è la durata.
Prima di arrivare all’idea di usare le note, il primo passaggio è stato la notazione alfabetica, utilizzando lettere per indicare i suoni invece dei simboli, principalmente per motivi di studio.
La notazione con i simboli si è affermata perché segue il concetto intuitivo dell’altezza, cioè i simboli sono posizionati in alto nel pentagramma in base alla loro altezza.

Nel medioevo si utilizzavano i neumi, parola che viene da segno, una notazione adiastematica, cioè che non permette di capire l’altezza di suoni, di capire gli intervalli tra le note.
Questa notazione dava un’idea di come interpretare la melodia, ma non permetteva di eseguirla senza conoscerla a priori, c’era bisogno di una guida.
Per eseguire le melodie soltanto leggendo la musica scritta è stata sviluppata una notazione diastematica, inizialmente con un solo rigo, poi con due insieme all’introduzione anche delle chiavi, anche se un rigo era da usare in alternativa all’altro.

Nel medioevo alla fine ci si assesta sui 4 righi, in modo da capire inequivocabilmente se una nota è sopra l’altra, così da poter interpretare a prima vista, senza dedicare tempo intermedio allo studio delle altezze.
Quello di assestarsi sul quinto è stato un compromesso con l’uso dei tagli addizionali, ma si è andati anche oltre al quinto rigo.

Diventano necessarie convenzioni, come la notazione quadrata, che rendono inequivocabile la rappresentazione dei simboli.
La notazione quadrata per la musica del graduale romano usato dalla chiesa medievale viene rivista alla fine degli anni 70, con l’aggiunta di due tipi di notazione adiastematica, per consentire agli interpreti di non doversi accontentare della notazione quadrata ma di poter rispolverare le sfumatura della notazione adiastematica, potendo scegliere diverse opzioni.

A Guido D’Arezzo (X-XI secolo) viene attribuita l’invenzione dei nomi delle note come li conosciamo oggi, a parte il si che è stato aggiunto più tardi.

Il problema della durata e del ritmo è sorto quando le melodie sono diventate più complicate, specialmente con l’introduzione della polifonia. Questo perché nel momento in cui la melodia è una sola, i tempi tra le note possono essere dilatati a piacimento, ma quando le melodie sono più di una
devono intrecciarsi in modo adeguato, con una serie di scansioni ritmiche che si possono scegliere, c’erano inizialmente 6 modi ritmici tra cui scegliere.

Nel XIII secolo, in base alla forma del simbolo, si può capire non solo l’altezza data dalla posizione, ma anche la sua durata.
Le voci inizialmente non venivano scritte una sopra l’altra, ma veniva scritta una voce alla volta, anche se dovevano essere eseguite in contemporanea.

Nei secoli, i simboli hanno rappresentato durate man mano sempre più brevi. Questo perché cambia il tipo di musica che si scrive.
Questo passaggio avviene anche per la notazione delle pause e delle chiavi, l’uso di certe chiavi permette di leggere più note senza usare troppi tagli addizionali, per una lettura più comoda e per questo rimangono usate nel corso del tempo.

Le variazioni per la notazione nei secoli recenti hanno avuto cambiamenti meno radicali, fino al 900, quando inizia un percorso parallelo che sviluppa un numero notevole di sistemi di notazione alternativa.
Cambia la notazione per le vie della musica vocale, per gli strumenti tradizionali e per gli strumenti non convenzionali.

Trattamento della voce dal punto di vista della notazione

Sprechgesang è uno stile di recitato ma cantato, è stata una delle prime innovazioni, inventato da Schoenberg, negli anni 10 del 900, influenzato dall’espressionismo, senza quindi il sentimentalismo della musica precedente ma con un’idea di senso di estraniamento, di vissuto tormentato con un’inquadratura da vicino.
Questo ha bisogno non di una voce come quella impostata dei cantanti lirici, ma di una voce che esprima l’inquietudine dei tesi.

A metà del 900, il continuo di questo pensiero con le varie sperimentazioni, con la presenza di musica che sperimenta e provoca, ha come protagonista artisti come John Cage.
Il suo brano Aria (’58) non ha linee di pentagramma, né note, ma ha qualcosa che assomiglia ai neumi adiastematici: segni abbinati a dei colori, ogni colore corrisponde a una certa interpretazione. Molti parametri rimangono liberi di essere interpretati.

Questo tipo di stravolgimenti, nella metà del 900, sono stati suscitati dal fatto che i compositori avessero a disposizione una cantante con capacità interpretative dal punto di vista drammaturgico.
Queste composizioni sono precedute da legende che allega il compositore per guidare l’interpretazione, spiegando per ogni simbolo che tipo di emissione sonora deve corrispondere.
La scrittura non ha sempre la stessa composizione, ci possono essere numeri diversi di righi, simboli diversi.
Queste sono novità non solo per l’interprete ma anche per esempio per gli editori e i copisti, che devono sforzarsi di lavorare con elementi inusuali.

Uso non convenzionale di strumenti tradizionali

Ci sono due filoni di compositori che introducono questi elementi: c’è chi lo fa per provocazione e chi lo fa per pura necessità d’espressione.

John Cage con 4’33” vuole non solo provocare ma anche sottolineare l’importanza del silenzio e la provocazione che si voleva trasmettere negli anni ’60, anche attraverso la composizione musicale con l’uso di suoni particolari, notazioni sconosciute.

Pederecki in Trenodia per le vittime di Hiroshima (’61) utilizza suoni e notazioni particolari per cercare di esprimere il dolore dell’avvenimento, per scrivere un pezzo commemorativo.

L’interprete diventa un collaboratore del compositore, compongono insieme, come in Volumina (’62), vengono concordati particolari modi (con i gesti e i movimenti) suonare per scopi di sperimentazione, per lavorare su masse di suoni usando un organo, lavorando in modo imprevedibile per ottenere
risultati sonori inediti.
Sta volta la motivazione non è emotiva come per la trenodia, ma è di sperimentazione.
Riguardo alla notazione, il compositore fissa certi parametri, ma molti vengono non specificati e lasciati liberi per l’interpretazione.

Sciarrino utilizza il flauto traverso per ottenere suoni diversi da quelli tranquilli canonici. Partendo da questo lavoro (componendo anche lui insieme a un interprete), alcuni tipi di suono sono entrati a far parte del linguaggio comune della scrittura contemporanea del flauto traverso usati dai compositori in seguito.
Questi suoni cercano di creare un ambiente e un clima sonoro, per cercare una sintonia con l’ascoltatore.

Kurtag invece lavora col pianoforte, per cercare soluzioni alternative rispetto a quelle tradizionali, con una serie di composizione chiamate “Giochi“. Questi pezzi sono stati scritti per insegnare ai bambini a suonare il pianoforte, non in modo noioso ma in modo insolito, per questo sono stati
pubblicati da vari editori. Indicano infatti quali gesti effettuare per ottenere determinai suoni e sono indicati diversi suoni con i metodi per ottenerli (utilizzando non solo le dita ma tutta la mano) e le indicazioni grafiche, anche semplificando la notazione dei segni abituali pensati anche per essere
imaparati e memorizzati dai bambini.

Filidei nei suoi studi cerca di sviluppare un rapporto fisico con il pianoforte, la musica si concentra sul gesto oltre che sul suono.
Per esempio svuota il pianoforte dei suoi suoni tradizionali e usa le sue parti non pensate per suonare.
Da una certa parte è un po’ una regressione perché anche con la legenda, ma senza aver ascoltato prima il brano, è difficile se non impossibile eseguire solamente leggendo, come succedeva nel sesto secolo.

Strumenti non convenzionali

Un discorso parallelo che si apre insieme all’uso non convenzionale, sempre nel 900.
Si usano strumenti che non sono nati per suonare o anche oggetti che vengono trasformati per creare suoni.
Si cercano suoni ricavati da quelli che potrebbero essere rumori con capacità espressive, inserendoli in un contesto organizzato, non per forza intonandoli.
Comunque però è difficile definirne l’altezza e quindi per rappresentare questi suoni serve una scrittura diversa, come quella che introduce Russolo (futurista), sostituendo il pentagramma, che permette di capire quando si sale e si scende di altezza, con l’uso di linee che indicano alcuni parametri.

Varese compone Ionisation (’29-31) il primo pezzo con un organico completamente percussivo.

Nei primi anni del 900, si diffonde l’abitudine di scrivere per quarti/ottavi di tono cercando di mettere per rappresentare tutte le possibili gradazioni sonore. Parecchi compositori ne sono affascinati perché si possono ottenere sfumature sonore originali.

Questi suoni sono possibili sugli strumenti a corda, ma non a quelli con le note obbligate come il pianoforte. Per questo sono stati costruiti anche pianoforti appositi per riprodurre questi suoni.

Vengono scritti i primi esperimenti per chitarra elettrica quando era una novità, uno strumento fuori dal contesto.

Viene scritta anche musica per strumenti giocattolo, come fa Lanza in Vesperbild (2007).

La disposizione grafica

…degli elementi musicali sulla pagina bianca.

Alcuni si liberano delle stanghette di fine battuta per rendere il discorso continuo.
Si fanno scelte dirompenti o funzionali.

Boulez fa scelte funzionali, per la musica del dopoguerra, fatti di matematica e interventi brevi degli strumenti, che non avevano una vera a propria melodia. Decide di far scorrere nella partitura solo i pentagrammi degli strumenti che devono suonare, senza scrivere le parti di sole pause.
La ragione funzionale è facilitare l’esecuzione.

Maderna (fine anni 60) scrive tanti pezzi di pentagramma, come in un collage e sta agli esecutori scegliere quando intervenire e cosa suonare, non ha niente a che vedere con l’efficacia esecutiva: è una provocazione che irride alla tradizione.

Anche Bussotti persegue la provocazione, come in Raragramma, con spartiti pittografici che guardano più alla resa grafica che quella musicale e sonora.

Vengono anche scritte partiture fatte di lettere che corrispondono a certi elementi e modi di esecuzione, eseguendo il pezzo al buio, come per giocare a carte con i suoni. In questo caso la partitura non serve più, ritornando quasi alle origini: senza notazione ma con il testo che descrive la musica che va
suonata. Possibile perché lo scopo è un gioco di improvvisazione che ogni volta sarà diverso.

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