Periodo D’Oro e Declino – Appunti di Editoria Musicale

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Il foglio singolo ha 2 facciate, piegato una volta si ha un bifoglio (4 facciate), un quarto ha 8 facciate e un ottavo ha 16 facciate (quello più usato oggi).

Gli editori lavorano su un unico grande foglio che poi viene ripiegato più volte, ottenendo un fascicolo che va tagliato ai margini in modo da ottenere le pagine in successione. Questo metodo veniva già utilizzate nel medioevo.

La segnatura è l’indicazione numeri posta alla base di ogni foglio in basso a sinistra che indica l’inizio di un nuovo foglio di base e indica anche quanti fascicoli ci sono in una pubblicazione.

Per stampare un libro bisogna sapere prima che tipo di foglio si vuole usare e fare il casting of (capire quali pagine vanno su quali lati). Poi i fogli vengono rilegati con la colla (il modo più economico) o con il filo che è più duraturo.

Con quaderno si intende, in ambito bibliografico, quello formato da 4+4pagine ottenute con le piegature.

L’impressione è il conferimento di un’ impronta mediante pressione.

I libri normalmente hanno un formato in piedi, cioè il cui lato lungo è quello verticali, il contrario è l’oblungo.

Alcuni libri erano molto grandi perché potessero essere letti da lontano, in modo che più esecutori potessero leggere contemporaneamente, stampando su tutte e due le facciate aperte che contengono gli spartiti brevi affiancati l’un l’altro (come faceva Petrucci).

Nel XVII secolo si inizia a pensare a libri singoli, destinati alla lettura individuale, che contengono un singolo spartito.

Un paio di secoli dopo nasce il concetto di partitura, quindi di scrittura di più parti ma in parallelo.

Recto e verso di un foglio sono la pagina fronte e retro. Spesso sono numerati solo i fogli e non tutte le pagine, indicando se è recto o verso.

Tra 500 e 600

In Italia c’erano molti compositori e quella italiana era la musica colta più nota, chi voleva imparare a scrivere bene veniva in Italia. La musica si produce ma si consuma anche molto. L’alfabetizzazione musicale era molto diffusa, anche più di oggi.

Interessarsi ma soprattutto fare musica significava essere persone appartenenti ad ambienti sociali di alto livello.

Aumentano i numeri di generi diffusi oltre alla musica sacra anche grazie alla diffusione delle tecniche di stampa.

In paesi come la Germania, dove si sviluppa il protestantesimo grazie a operazioni come la traduzione della bibbia in tedesco per renderla accessibile a tutti, si diffonde un repertorio di musica nuovo scritto in un linguaggio comprensibile. Motivo per cui nasce la necessità dell’uso delle tecniche di stampa. L’idea era anche quella di includere tutte le persone attivamente nei riti, come per esempio anche nella musica, per questo nascono i corali che possono cantare tutti, mentre per la chiesa i cori erano riservati a gente che si dedicava a quello.

La stampa musicale comincia a diventare qualcosa che non è più riservato a pochi centri elitari, si consolida come pratica e come tecnica con le diversificazioni sia delle tecniche che dei repertori.

Il periodo d’oro della musica stampata è considerato tra la prima metà del ‘500 e quella del ‘600, ma a un certo punto si è smesso di stampare e si è ripreso a riprodurre musica in forma manoscritta dopo un periodo di collasso.

Dopo i primi tentativi di stampa, con l’introduzione degli incunaboli e il raffinamento delle tecniche e l’affiancamento delle varie tecniche di stampa, nascono e si diffondono in Europa forme di imprese di stampa, introno alla metà del 500 (anni 30/40). Nella seconda metà del 500 il fenomeno diventa ancora più rilevante, anche in molte città italiane.

Venezia e Anversa erano i porti centri commerciali, punti di snodo per la mappa economica dell’Europa.  Altre città come Cracovia e Lovanio avevano importanza per la presenza di istituti ecclesiastici.

Le stampe venivano vendute, si era costruito un commercio fino alle vendite al dettaglio. Gli stampatori, siccome questa attività richiedeva comunque un impegno economico per la manodopera, la carta e i materiali, preferivano assicurarsi di avere dei guadagni affiliandosi a istituzioni politiche come i casati reali o i ducati che potessero garantirgli un monopolio, per avere la concessione di essere l’unico titolare del diritto di stampare un certo tipo di musica su un determinato territorio, per evitare la concorrenza. Nel 1575, per esempio, la regina Elisabetta concede la stampa esclusiva della musica polifonica a due soli editori (Tallis e Byrd, che erano anche autori della musica che stampavano) e in più possono stampare altri tipi di musica anche senza monopolio.

Non tutti gli stampatori però stampavano sotto monopolio, nei più grandi centri commerciali c’erano stampatori indipendenti.

Spesso gli editori non stampano solo musica ma anche altro per assicurarsi i guadagni. Pochi si dedicano esclusivamente alla musica, ma molti si specializzano.

Le prime case editrici dell’epoca erano spesso dietro a un cognome perché la gestione era familiare e possedevano un patrimonio da trasmettere tra le generazioni, avevano però degli apprendisti che poi si mettevano in proprio e fondavano altre case editrici.

Ci sono casi di compositori di spicco di cui le vendite erano certe, quindi l’editore cerca questi compositori per avere dei guadagni assicurati. I compositori erano tantissimi e non riuscivano tutti a primeggiare. Se volevano uscire a stampa dovevano cercarsi degli editori pagando anticipatamente per stampare i propri lavori per evitare fallimenti all’editore in caso di insuccesso. Se i compositori però non avevano i soldi per autofinanziarsi cercavano un finanziatore altrove, spesso facendo taciti accordi (con per esempio dediche nei frontespizi a certi signori. I frontespizi erano quelli più pagati ai copisti all’inizio delle loro carriere) in cambio di soldi, oppure le stampe dei compositori venivano pagate dai loro commissionari, perché spesso i nobili avevano un proprio ensamble.

Non ci sono materiali che confermano questi rapporti, ma queste informazioni vengono dedotte da fonti secondarie.

A un editore/stampatore venivano richieste: attrezzature specializzate, abilità nella copiatura, competenze musicali. La qualità delle stampe era importante e richiesta da molti compositori.

Lo stichvorlage era la copia manoscritta dell’editore che lo stampatore preparava. Il compositore mandava manoscritta la musica all’editore, l’editore faceva un secondo manoscritto messo a punto che consisteva in un’ impaginazione fatta a mano così come doveva essere poi stampata.

Le competenze musicali non erano sempre necessarie perché alcuni stampatori sapevano copiare a vista.

Orlando di Lasso, uno dei massimi compositori dell’epoca, porta la sua musica di fuori dai centri di riferimento in cui era solito lavorare, e va in altri punti nevralgici per la stampa musicale Europea stipulando accordi con gli editori migliori sulla piazza per diffondere la sua musica internazionalmente.

La pubblicità si faceva con frontespizi e cataloghi. Permettevano alle case editrici, agli stampatori, ai committenti, ai dedicatari, ai compositori di affermarsi sulla scena. I cataloghi elencavano tutto quello che gli editori producevano.

La distribuzione avveniva attraverso le fiere librarie importanti come quella di Francoforte.

Un editore che pubblicava libri si metteva a pubblicare musica sia perché il mercato ne era interessato sia perché c’era la garanzia che, nel clima dell’epoca pieno di censure politiche e ecclesiastiche, la musica ne era meno soggetta e quindi non era difficile ottenere la licenza per pubblicare.

Verso la fine del 500 si afferma la tecnica dell’incisione perché si iniziano a vedere gli svantaggi dei caratteri mobili: i caratteri erano impegnati per una certa forma, se servivano ristampe bisognava ricomporre tutto da capo.
La carta costava, la lastra permette di fare ristampe più facilmente. Con la carta si preferisce stampare di meno invece che stampare tante copie che poi non vengono vendute.

La media delle tirature era di 500 copie, quelle medie di un libro era 1250.
John Dowland è stato uno dei primi cantautori, le cui prime canzoni stampate vendono fino a 1000 copie, stampate dall’editore inglese East. Nelle copie c’era scritto che le stampe erano permesse, sotto pagamento, grazie all’editore che ne aveva il monopolio.

Il formato table book era per musica da camera, stampata su un libro che veniva lasciato aperto su cui tutti potevano leggere, che consisteva in canzoni cantate da più cantanti solisti con accompagnamento di liuto.

Per i compositori la stampa era un potentissimo strumento per accrescere la propria notorietà (la musica gira, viene suonata e ascoltata, vengono commissionate altre musiche) e un sistema che incoraggiò la consapevolezza del diritto d’autore (quando qualcosa viene messo nero su bianco, per un certo luogo, in una certa data e con un titolo è più difficile che qualcun altro se ne possa appropriare).

Non tutti i compositori utilizzano la stampa fin da subito, ma scelgono di avvalersene solo dopo il successo.

Il declino della stampa

Ad un certo punto tutto questo sistema implode perché si era creato un grande mercato di cui non sempre gli stampatori erano in grado di gestire le richieste.

Nel ‘600 la musica cambia, cambia lo stile, diventa una musica più virtuosistica, con gli abbellimenti che richiedono troppa perizia da parte degli stampatori. Cambiano le concezioni intendere la musica, dalla polifonia a una musica composta da voce principale e accompagnamento.

Cambiano anche i generi, nascono l’opera lirica e la musica cantata. Grazie all’opera si accentua la divisione tra l’ascoltatore che non più necessariamente deve conoscere la musica e gli esecutori professionisti. Nel ‘600 quindi l’ascoltatore non va a comprare gli spartiti dell’opera, non ha senso stampare tutto perché il mercato si riduce.

In Italia all’inizio del ‘600 arrivano la peste e la crisi economica.

Tutto questo porta a un momento di declino anche per la stampa con il conseguente ritorno al manoscritto.

Nel ‘700 la musica gira in forma manoscritta, nonostante sia il periodo d’oro per la musica italiana per esempio a Napoli e Venezia.

La stampa rinasce nell’800 e Casa Ricordi in questo periodo ha un ruolo principale si in Italia che in Europa.

L’archivio online contiene tutto quello che l’editore ha accumulato fin dall’inizio dell’attività nell’800.

Archivio Ricordi

Il fondatore Giovanni Ricordi nasce come copista, importa macchinari da Lipsia e fonda nel 1808 la casa editrice. In 50 anni si afferma come editore a Milano e gradualmente diventa impresario dei compositori, già con Verdi, cura anche le rappresentazioni sceniche delle opere teatrali.

L’archivio contiene quelle partiture che gli editori vengono a consultare per scrivere le edizioni critiche.
C’è anche un fondo iconografico, con i set dei costumi e delle coreografie delle prime delle opere.
Sono archiviate anche fotografie, spesso con dediche, a volte lasciate come omaggio dagli artisti.

Dopo gli anni 30 i teatri diventano enti autonomi, quindi i materiali teatrali archiviati dagli editori si fermano a quel periodo.

Maria Callas nel 1958 è la prima a stampare un disco con Ricordi.

L’etichetta dei dischi Ricordi diventa quella dei cantautori, che Nanni Ricordi si occupava di ricercare sul territorio.

Vengono anche archiviate le lettere degli artisti ai Ricordi (per fare il punto su una data produzione, che sono quindi fondamentali per le partiture e utili per la musicologia, o di contratto) e le copie anastatiche della posta in uscita.

Sono archiviati anche i libretti delle opere di quando erano in revisione, che dipendeva dalla resa scenica dello spettacolo di volta in volta.

Sono archiviati anche i manifesti delle officine grafiche, che servivano per le campagna pubblicitarie.

L’archivio è molto usato dalla comunità musicale, dai registri, dagli studenti, dai direttori d’orchestra, dai musicologi.

Nel 1994, viene certificato che l’archivio passa da impresa a archivio storico, il cui patrimonio non può essere esportato, né diviso, né venduto. Contemporaneamente Bertelsmann compra la Ricordi, vende il ramo editoriale alla Universal e quello editoriale alla Feltrinelli, mantiene il marchio e l’archivio storico. Gli obblighi che derivano da questo riconoscimento sono rendere accessibile la fruizione dei contenuti e di doverlo mantenere in buono stato.

Della casa editoriale è stato fatto un progetto culturale, che bisogna tutelare (che è comunque compito di tutti gli archivi) e quindi bisogna fare inventariazione e catalogazione, digitalizzazione (anche per renderlo disponibile online), conservazione e restauro.

Atemporalità: perdita del senso di differenziare quello che c'è stato prima da quello che c'è adesso.

L’internet ha permesso alla long tail data dalle musiche di nicchia di avere un peso economico, perché permette guadagni più alti di quelli della testa.

Per valorizzare l’archivio, mentre si rendono disponibili e presenti le risorse e la collaborazione, si sfruttano le licenze delle immagini e dai progetti, in modo da avere possibilità di reinvestimento.

L’accesso principale alle risorse dell’archivio rimane comunque il sito dell’archivio.

L’attività più remunerativa era la circuitazione delle opere, non la vendita degli spartiti.

Il diritto d’autore delle royalties è nato da Ricordi nell’800.

Le licenze per le immagini vengono fatte con la collaborazione di due istituiti culturali che trattengono una commissione.

Negli ultimi decenni non sono le case editrici a conservare i materiali, ma lo fanno gli archivi specifici, perché sono troppi materiali e quindi difficili da gestire. Alcuni archivi possono successivamente diventare editori.

È il compositore a decidere cosa farne dei propri materiali in generale e quando il compositore è rinomato li vende ad enti specifici, come la fondazione Paul Sacher Stiftung, che ha l’obiettivo di aiutare gli studiosi mettendo a disposizione i materiali autografi (pur non mettendo a disposizione online).
Quindi ogni ente può decidere di gestire questi materiali in modi differenti.

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